LA CHIESA PARROCCHIALE
L’INTERNO
La chiesa è situata nella frazione Sale di Gussago; posta sopra un rilievo, fonda le sue origini nel XVI secolo. La chiesa presenta una struttura semplice a capanna, con la facciata caratterizzata da quattro lesene che sorreggono una trabeazione sormontata da timpano aggettante dotato di pennacchi marmorei. Presenta solo un’apertura centrale, sopra la quale si trova un affresco raffigurante S. Stefano. All’interno la chiesa presenta navata unica interamente decorata, con copertura voltata e nicchie laterali contenti degli altari. Il presbiterio, rialzato, è quadrangolare, ed è delimitato da un abside semicircolare dotata di due grandi aperture rettangolari. Adiacenti alla chiesa si trovano la sacrestia ed il campanile.
Impianto strutturale
La chiesa presenta pianta a navata unica con copertura voltata; le murature sono composte da elementi lapidei e laterizi con elementi di irrigidimento in ferro.
GLI ALTARI
Pala di S. Stefano di Pietro Francini. Posta nell’abside dietro l’altar maggiore, raffigura la lapidazione di S. Stefano, in veste da diacono, il quale, come dice la scritta sottostante, ha la visione dei Cieli che si aprono per lui e dall’alto le tre figure della SS. Trinità lo attendono nella Gloria. Dietro si intravedono figure di scribi e di farisei, mandanti dell’esecuzione. Il paesaggio sullo sfondo, pur essendo palestinese, presenta forme architettoniche molto simili allo stile arabo.
Altare della Madonna, con una statua di recente fattura posta in una nicchia protetta dal vetro, non presenta pitture perché questo era il posto in cui, fino ai primi anni del ‘900, era collocato l’organo, ora posto sopra l’ingresso principale.
Paliotto dell’altare della Madonna. Decorato con fiorami, rami, foglie in pietre dure con l’aggiunta d’uccelli e di farfalle impreziositi dai riflessi della madreperla, secondo l’arte dei marmorai di Rezzato. In una cartella sagomata al centro è inserita la Madonna con il Bambino, analoga a quella di S. Maria dei Miracoli e in S. Francesco di Paola a Brescia e a Botticino.
Pala dell’Adorazione dell’Eucarestia, nell’altare di S. Gaetano, attribuita ad Antonio Paglia (1680 – 1747), raffigura in alto il Santissimo con gli angeli, in basso a sinistra S. Lorenzo, a destra S. Pietro Inquisitore martire e al centro un santo col cappello cardinalizio ai piedi in precedenza creduto S. Gaetano da Thiene ma poi riconosciuto in S. Francesco Borgia.
Paliotto dell’Adorazione dell’Eucarestia. Presumibilmente del 1720, ha una lavorazione di marmi gialli, rosa e grigi; le due piccole statue laterali, incorniciate da colonne di marmo rosa con capitelli di marmo di Botticino bianco, riprendono il tema della pala soprastante e rappresentano S. Lorenzo da un lato e S. Pietro martire dall’altro. Al centro campeggia il Calice col Santissimo.
Pala di S. Antonio del cav. Andrea Celesti (1637 – 1716). In alto la Madonna con un’aureola di stelle, con lo Spirito Santo attorniata dagli angeli; ai suoi piedi S. Antonio da Padova, seduto con in braccio il Bambin Gesù e, ai lati, S. Antonio abate col simbolo del fuoco e S. Fermo in armatura con uno stendardo in cui s’intravede una testa di bue, poiché protettore del bestiame. La incornicia una ricca soasa.
Paliotto dell’altare di S. Antonio. In marmo rosa e nero con cornici bianche, databile al 1710, al centro del quale gli ornamenti policromi dei fiorami fanno posto alla figura di S. Antonio.
I QUATTRO EVANGELISTI
Nel 1945 Vittorio Trainini dipinse i simboli dei quattro evangelisti nella della volta soprastante l’altar maggiore.
L’ Angelo, simbolo dell’evangelista Matteo. Il Leone, simbolo dell’evangelista Marco.
Il Toro, simbolo dell’evangelista Luca. L’Aquila, simbolo dell’evangelista Giovanni.
I SIMBOLI
A causa delle persecuzioni, i primi cristiani non potevano raffigurare il Cristo o altre realtà di Fede. Per non essere scoperti utilizzavano figure simboliche e ad ogni figura corrispondeva un significato ben preciso. Nei secoli successivi tutta questa simbologia venne utile perché la maggior parte delle persone era analfabeta. Quando il sacerdote predicava l’omelia o impartiva la dottrina, non potendo utilizzare nessun libro, si serviva delle immagini dipinte sulle pareti della chiesa per far capire meglio ai fedeli il significato delle sue parole. Molto spesso queste immagini erano le stesse usate da Cristo nelle parabole.
In seguito si continuò a riprodurre tali immagini nelle decorazioni delle chiese anche quando l’uso dei libri fu più diffuso. Purtroppo si è dimenticato il significato di molti simboli che forse è bene ricordare per imparare che anche le pareti delle chiese hanno qualcosa da insegnarci.
Ancora e delfino (la Fede)
Nella prima arte cristiana l’ancora veniva usata come una forma dissimulata di croce e simbolo di speranza e quindi significa Salvezza ed anche tenacia nella vera Fede (Epistola agli Ebrei 6,19). Il delfino, già nell’antichità, era la guida delle anime nell’aldilà. La sua natura di animale che si tuffa e vive nell’acqua ma salta nell’aria e la respira, simboleggia la doppia natura del Cristo che, innalzato sull’ancora, lo raffigura sulla Croce e, posto sulle acque, anche il Salvatore che guida la sua Chiesa. Inoltre il delfino era simbolo dell’azione mentre l’ancora è la salda fermezza, entrambe caratteristiche della Fede. Sopra l’ancora il simbolo del labaro dell’imperatore Costantino , caratterizzato dal CHRISMON, cioè dalla sigla monogrammatica del nome di Cristo. Il sole che sorge è ancora simbolo del Cristo che viene al mondo per iniziare la nuova era.
Il pellicano. (La Carità)
Poiché si credeva che questo uccello nutrisse i suoi piccoli col proprio sangue, rappresentava in genere la carità, la pietà, il sacrificio, in questo caso il sacrificio di Cristo che versò il suo sangue per la Redenzione di tutta l’umanità. Le stelle intorno sono dodici che, oltre a rappresentare i dodici apostoli, ricorda anche le dodici tribù di Israele e, per traslato, tutta l’umanità per la quale Cristo dona il suo sangue. Questo è uno dei simboli più antichi e viene ricordato anche da Dante che chiama Cristo “nostro Pellicano”. E’ possibile che i tre piccoli nutriti dal Pellicano rappresentino le tre parti in cui, nell’antichità, si credeva che fosse diviso l’uomo: corpo, mente e anima.
Croce e vite. (Speranza e Corpo mistico)
Cristo è la Vera Vigna e i suoi discepoli sono i rami (Gv 15, 1-6); la vite rappresenta anche la Chiesa e i fedeli. Raffigurata come albero della vita, con le colombe che ad esso attingono, simboleggia l’anima che va verso Cristo e, essendo sette colombe, attraverso i sette sacramenti.
La sigla monogrammatica del nome di Cristo, posta alla base, si dice fosse stata rivelata in sogno all’imperatore Costantino che l’aveva raffigurata nel proprio stendardo. Egli la metteva anche su tutti gli scudi per porsi sotto la protezione di Cristo.
Organo, sole e spighe (l’Armonia del Creato)
Il sole è l’immagine del Dio Padre Creatore che governa e regge l’universo e che si pone dietro la Croce perché propone il Figlio al mondo. La Croce si inserisce come una canna d’organo, strumento generatore di armonia musicale che simboleggia l’armonia del Creato. Dalle canne escono delle spighe di grano che a destra sono sei (numero dell’armonia) ed a sinistra sette (numero della completezza dell’universo). Il tutto emerge da una nuvola simboleggiante l’onnipotenza divina. Le due colombe vicine al sole sono qui simbolo di pace, che è la necessaria conseguenza dell’armonia universale.
Cervi alla fonte (Il Battesimo)
Il cervo è simbolo di vita e messaggero divino, l’acqua è sorgente di vita. Due cervi che si dissetano alla fonte rappresentano l’anima che ha sete di Dio, quindi pietà e aspirazione religiosa (Salmo 42). Nella mitologia il cervo è nemico del serpente e quindi rappresenta il cristiano che, dissetato da Dio, riesce a combattere il male rappresentato dal serpente tentatore.
Sulla fonte c’è la Croce per confermare il significato divino, intorno al quale ci sono due colombe qui simbolo del pensiero ispirato dallo Spirito che ritroviamo, con tutti questi simboli, nel sacramento del Battesimo.
Pavoni (L’Eucarestia)
L’Ostia posta sul calice, significante anche un sole nascente, è simbolo di Cristo che, attraverso il suo sacrificio (la croce sul davanti) raggiunge la gloria evidenziata dalla sua radiosità. I simboli di Α (alfa) e Ω (omega qui stranamente rovesciata) sono da sempre simbolo di Dio come inizio e fine di tutto.
I due pavoni sono simbolo di immortalità e resurrezione e qui rappresentano i cristiani che in adorazione fedele di Cristo si rinnovano con un’anima glorificata e quindi non più mortale nel peccato. Ai lati hanno un trifoglio, simbolo della trinità ed un quadrifoglio, simbolo della stabilità divina.
Dio e le tavole della legge. (L’alleanza di Dio col suo popolo)
Il triangolo raffigura l’unità della Trinità e quindi la pienezza di Dio che, emanando raggi di luce tutt’intorno, manifesta la sua potenza e dona agli uomini le tavole della Legge (poste su di una nuvola simboleggiante l’onnipotenza divina) segno del patto di alleanza col suo popolo. Ricordano le tavole che Mosè ricevette sul monte Sinai.
I primi tre comandamenti sono distinti dagli altri sette in quanto riguardano direttamente il rapporto dell’uomo con Dio.
Ara e Vangelo. (Il rapporto dell’uomo con Dio)
L’altare rappresenta il sacrificio attraverso il quale avviene l’unione dell’uomo con Dio evocandone la sua presenza, che nell’Antico Testamento avveniva col sacrificio cruento anche come forma di ringraziamento. Davanti si pone il Nuovo Testamento, proprio come nuovo rapporto dell’uomo con Dio che risponde illuminando con la sua Luce divina. Si tratta quindi di un passaggio dal Dio dell’Antico Testamento al Dio Padre rivelato dal Cristo. La luce divina, che illumina il Vangelo, si sovrappone al fuoco dell’ara, entrambi portatori di luce, ma con differenze sostanziali. Poiché l’altare ha la forma di una antica tomba, qui simboleggia il passaggio dalla morte alla vita e dal tempo all’eternità. I gradini che conducono all’altare sono simbolo della salita spirituale per accostarsi.
La Madonna e tre santi.
Regina Pacis.
Alla fine dell’ XI secolo, in ringraziamento per la pace raggiunta con i mori, si installò a Toledo, in Spagna, un’icona della Vergine Maria che fu da allora chiamata “Regina Pacis”, anche se fu approvata la celebrazione di una festa locale solo più tardi, nel 1658. Da quel momento però si propagò assai rapidamente anche grazie a numerosi ordini religiosi. Il suo culto fu incrementato soprattutto alla vigilia della prima guerra mondiale, quando l’invocazione alla regina della pace fu inserita nelle Litanie Lauretane.
San Giuseppe lavoratore. (La Fede vissuta)
La maggior parte delle notizie su san Giuseppe si hanno nei primi due capitoli dei Vangeli di Matteo e di Luca e, in particolare come artigiano, in Mt. 13, 55; Lc. 3, 23; Gv. 1, 45; 6, 42. Il suo culto inizia solo verso la fine del IX secolo, mentre la ricorrenza del 19 marzo venne istituita nel 1324 a Bologna. Nel 1479 papa Sisto IV inserì la festa di san Giuseppe nel calendario della chiesa di Roma ratificata dal Calendario Romano della Chiesa d’Occidente nel Concilio di Trento (1545-1563). L’ 8 Dicembre 1870 Pio IX lo proclamò patrono della Chiesa universale; è anche patrono delle famiglie, dei lavoratori e viene invocato per la buona morte. Nel 1956 Pio XII istituì la festa di san Giuseppe lavoratore il 1° Maggio, stabilendo che questo giorno non fosse lavorativo. Giovanni XXIII introdusse il nome di San Giuseppe nel Canone della Messa. Qui potrebbe significare la Fede vissuta con umiltà e semplicità.
San Pietro (La Fede rivelata)
San Pietro riceve le chiavi della Chiesa perché fu il primo a riconoscere Cristo Figlio di Dio. (Mt 16, 16-20) anche se prima non era riuscito a camminare sulle acque come Gesù perché aveva dubitato. (Mt 14, 28-31) e poi lo rinnegherà tre volte (Mt 26, 69-75). Le chiavi di San Pietro simboleggiano il potere da cui dipende ogni facoltà di sciogliere e di legare, di aprire e di chiudere e sono anche l’attributo del papa. La sua ricorrenza è una delle più antiche solennità dell’anno liturgico. La festa fu inserita nel santoriale ancor prima di quella del Natale. E’ invocato come protettore dei mietitori, pescatori, pescivendoli, muratori, portieri, fabbri ed orologiai.
San Tommaso. (La Fede testimoniata)
Le poche parole di san Tommaso che compaiono nel Vangelo testimoniano la sua Fede. Fu il primo a decidersi di seguirlo per tornare in Giudea al capezzale di Lazzaro con le parole: “Andiamo anche noi a morire con Lui!” (Gv 11, 16). Ancora nel cenacolo è disposto a seguirlo: “Signore, non sappiamo dove vai, e come possiamo conoscere la via?” (Gv 14, 5). Fino alle ultime: “Mio Signore e mio Dio!” (Gv 20, 28) in cui è il primo a pronunciare la parola Dio rivolgendosi a Gesù. Si vuole che abbia diffuso il cristianesimo fra i popoli dell’India. Dal VI secolo lo si ricorda il 3 Luglio, festa che commemora la traslazione del suo corpo a Edessa (oggi Urfa, in Turchia). Le sue reliquie furono poi trasportate ad Ortona, nell’Abruzzo. E’ patrono di architetti, artisti, carpentieri, falegnami, geometri, muratori e tagliapietre ed anche dei giudici.
Gli Angioletti
Nel catino dell’abside si osserva una falsa “balconata” da cui si affacciano alcuni angioletti sulla tecnica che dal XVII secolo si diffuse in Italia e che presenta dei dipinti raffiguranti angioletti, o meglio dei “putti” (sulla scia degli “amorini pagani”) che si pongono come osservatori del mondo sottostante. Nei dipinti sacri gli angeli sono, per definizione semantica, dei messaggeri divini, soprattutto qui dove sembrano cantare (si veda il cartiglio con la musica) e suonare l’organo (che si intravede verso destra) per diffondere il messaggio evangelico “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini di buona volontà”, come si leggeva in Luca (2,14) prima della più recente traduzione, e che si trova nella frase in latino sul cartiglio più grande.
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